ANTICHE JUOCHE NAPULITANI, ANTICHI GIOCHI NAPOLETANI

da 13 Dic 2020ANEDDOTI, FATTARIELLI, RICETTE, PERSONAGGI ED ALTRO, Napoletanità, parole napoletane

Leggevo la poesia GUAGLIONE di Raffaele Viviani e in essa i primi versi recitano:”Quanno jucavo ô strummolo, â liscia, ê ffijurelle, a cciaccia, a mmazza e pívezo, ô juoco d’’e ffurmelle, ….”

Mi sono chiesto ma i giovani d’oggi capiscono di cosa si tratta? Cosa significano questi sostantivi? Essi fanno riferimento a giochi che si praticavano in strada e risalgano come minimo a più di sessanta anni fa. Chi, come me, che ha i capelli bianchi, forse si commuoverà nel rileggere la descrizione di alcuni giochi che sicuramente avrà praticato e che fanno parte dei ricordi della infanzia. Ho consultato anche dei vecchi amici per avere conferma della esattezza della descrizione

  1. Strummolo (trottolina): Trattasi di una trottolina di legno a forma di cono con il vertice costituito da una punta metallica infissa nel legno e con numerose scalanature incise su tutta la superficie in modo concentrico e parallelo rispetto al vertice; in dette scanalature viene avvolta strettamente una cordicella che ha lo scopo di imprimere un moto rotatorio allo strummolo, mediante uno strappo secco, per modo che lo strummolo lanciato in terra prenda a girare vorticosamente su sé stesso facendo perno sulla punta metallica. In commercio esistevano parecchi stummoli, quelli di qualità erano i più costosi in quanto la abilità del giocatore era anche al rapporto di miglior fattura dello strummolo, quindi con maggiore velocità della roteazione e maggiore durata. Lo strummolo economico era di scadente fabbricazione, il più delle volte scentrato e non bilanciato rispetto alla punta, per cui il suo roteare risultava di breve o nulla durata: in tali casi si suoleva dire che lo strummolo era tiriteppe, volendo con tale onomatopea indicare appunto la non idoneità del giocattolino. Se poi alla scentratezza dello strummolo si associava una cordicella non sufficientemente lunga, tale cioè da non permettere di imprimere forza al moto rotatorio, si usava dire:” s’è aunito ‘o strummolo ‘a tiriteppe e ‘a funicella corta “. Tale espressione è forse ancora usata e si usa quando si voglia riferire una situazione nella quale si associano due cose negative.
  2. a Liscia (nella poesia ‘o liscio) per il mio amico Pierino: era un gioco fatta con monete di metallo, si tracciava sul terreno una linea dove chi si avvicinava di più, iniziava il gioco;

Per Davide: Chi andava più sotto al muro poi tirava una moneta e la teneva coperta, poi si gettavano in aria tutte le monete dei giocatori e tutte quelle con lo stesso simbolo (testa o croce) del giocatore venivano prese. C’era il sottammuro semplice e a liscia. Per Egidio: Si giocava su un pavimento liscio, lanciando con monete, bottoni, carte, e ognuno doveva avvicinarsi più possibile al muro, da cui, anche sottomuro. Per altri, non si giocava con monete ma: Si fanno scivolare a mo’ di primordiali bocce dei sassi appiattiti e levigatissimi.

Aggiungo anche la variante si avvicinarsi ad un solco tra un basolo e altro ed allora il gioco era del singo.

  1. Fijurelle (figurine di calciatori o immaginette di santi) dette anche Ritrattiello (piccoli ritratti). Le figurine o i ritrattielli riproducono foto o disegni di personaggi storici, attori/attrici o campioni dello sport. Il gioco, condotto da due giocatori, consiste nel mettere a disposizione un mazzetto di egual numero di figurine ciascuno, con il fronte sul piano d’appoggio. Il giocatore avversario deve indovinare quale personaggio si trova sulla prima figurina del mazzetto: se non ci riesce, si prosegue, se indovina si impadronisce di tutto il residuo mazzetto che porrà sotto il suo, toccando all’avversario a sua volta di indovinare. Vince chi riesce ad impadronirsi del maggior numero di figurine. Ma a Napoli si giocava una variante più divertente e dinamica, non basata sulla pura fortuna, ma comportante una destrezza manuale: ‘o paccaro. Il gioco si svolgeva tra due giocatori o più giocatori: ogni giocatore impila le proprie figurine tenendone la faccia in alto, piegate al centro lungo l’asse maggiore; l’avversario assesta, con la mano in postura concava, un colpo al lato della pila cercando di procurare un adeguato spostamento d’aria tale che faccia voltare una o più figurine dalla faccia al verso; la /le figurina/e rivoltate vengono conquistate. Viene man mano eliminato chi perde tutto il mazzetto.
  2. ciaccia (schiaffo del soldato) forse il nome trae origine dal tipico rumore: cià, cià provocato dal secco, violento colpo della palma della mano contro la palma dell’altrui mano. Descrizione del gioco: Uno dei giocatori, estratto a sorte, svolge il ruolo della “madre” ed ha il compito di controllare che nessuno bari. Un altro giocatore estratto a sorte “va sotto”, cioè si pone con il volto sulla spalla della madre, una delle due mani a coprire il viso e l’altra con il palmo esposto sotto la sua spalla. Gli altri giocatori, posti alle sue spalle, devono, uno per volta, colpire con uno schiaffo la mano di quello che sta sotto. Questi si volta e deve indovinare quale degli altri giocatori lo ha colpito, cercando di riconoscerlo attraverso la dimensione della mano e la violenza dello schiaffo. Il colpitore, se riconosciuto, va sotto, altrimenti rimane sotto quello che già c’era e così via.
  3. mazza e pivezo (mazza e pezzo). Bisogna prima spiegare cosa sono la mazza ed il pivezo. Per la mazza. Non ci sono problemi, essa è un bastone, pivezo ma anche piuzo o pivuzo deriva dal latino: pilso(um) che significa bacchettina, fuscello, pezzo di legno. Nel gioco è il pezzo di legno appuntito ai lati di cica 15 cm. Come si gioca? Tutto sommato è il baseball napoletano: Si traccia sulla terra battuta un cerchio con la stessa mazza del gioco di circa due metri di diametro (oppure con il gesso in caso di asfalto o basoli), Il gioco consiste nel colpire una prima volta (mazzeca e uno) con la mazza la punta del pivezo (con il pezzo a terra) allo scopo di farlo sollevare e colpirlo nuovamente al volo (mazzeca e ddoje) cercando di lanciarlo il più lontano possibile. L’altro giocatore, raggiunto il pívezo, deve lanciarlo nel cerchio difeso dal battitore che tenta di ribatterlo (mazzeca e ttre) il più lontano possibile. Se ci riesce si scambiano i ruoli, in caso contrario il battitore con tre colpi (descritti come sopra) allontana il più possibile il pezzo dal cerchio, per modo da porre in difficoltà l’avversario che dovendo ripetere il lancio del pivezo verso il cerchio, può mancarlo e non raggiungerlo mettendo fine alla contesa con la vittoria del lanciatore/battitore.
  4. o juoco d’’e furmelle (il giuoco dei bottoni) Corrispondenza con altre regioni italiane: gioco praticato in tutta Italia Etimologia: juoco sostantivo maschile dal latino iocus (scherzo, giuoco); furmella sostantivo femminile dal latino formella (piccola forma, formaggella). Descrizione del gioco: il gioco prevede il lancio dei bottoni radente il suolo verso un buco ricavato sul terreno o simulato con il disegno di un cerchio tracciato con il gesso; una volta lanciati i loro bottoni, i singoli giocatori spingono il loro bottone verso il cerchio o buco sospingendoli con un colpo dell’unghia del pollice che prende slancio facendo leva contro il polpastrello dell’indice; vince chi riesce a far cadere, colpendoli con destrezza e misura, nel buco o nel cerchio i bottoni degli avversarî. I bottoni possono essere sostituiti da monete metalliche. Per stabilire la priorità del lancio dei bottoni verso il cerchio/buco occorre dar corso a due fasi prodromiche: la prima (sottamuro) consiste nel lanciare verso un muro o altro ostacolo i bottoni o le monete cercando di farle accostare il più possibile al muro/ostacolo; seguendo l’ordine di accostamento al muro, valutato, se de visu non sia possibile stabilirlo, servendosi del palmo (distanza tra la punta del pollice e quella del mignolo, misurata con la mano aperta e le dita distese e divaricate al massimo; un tempo costituiva un’unità di misura corrispondente a circa 25 cm) e dello ziracchio (distanza tra la punta del pollice e quella dell’indice, misurata con la mano aperta e le dita distese e divaricate al massimo; un tempo costituiva un’unità di misura corrispondente a circa 18 cm). I giocatori, quindi, danno luogo alla seconda fase prodromica (battimuro), consistente nel far battere, di taglio contro il muro o l’ostacolo uno per volta i proprî bottoni o monete facendoli ricadere il più lontano possibile; il giocatore che riesce vittorioso in questa seconda fase ha il diritto di lanciare per il primo le sue munizioni verso il cerchio o buco.

Davide aggiunge che le formelle o dette anche pacchiose si giocavano con pezzi di riggiole (mattonelle) come fossero bocce, c’era una buca dove si metteva la posta e chi si avvicinava di più vinceva e Pierino di rimando, precisa:” Anch’io quando da ragazzo ho giocato con la pacchiosa, e ti dirò di più, queste pacchiose le ricavavamo dai sassi in riva al mare già levigate dall’azione del mare.”

La poesia di Viviani declamata dal maestro Nello Mascia

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