Parole della lingua napoletana, quasi dimenticate
Taluorno
Seccatura, fastidio, molestia, uomo o cosa che annoia per monotomia, noiosa ripetizione, costante e fastidiosa.
Le ipotesi di provenienza sono molteplici chi dice dal greco, chi dal latino ed altri dall’italiano ritorno.
Lo stesso Altamura lo associa al greco e ci dà anche il termine latuòrno che ha lo stesso significato.
Dal latino tal-urnus: ripetizione; dal latino” latorno” da cui latuorno e quindi taluorno. Presso gli antichi romani, infatti, ci stava usanza che una donna veniva pagata per piangere e lamentarsi durante i funerali; questa usanza ancora sopravvive in alcune aree mediterranee europee; in Italia era (ed è?) ancora praticato in Campania ma soprattutto in area calabro-lucana e poi anche pugliese. Poi scherzosamente la voce è diventata un modo di dire, quale “Ogne gghiuorno è taluorno” che viene utilizzato spessissimo per redarguire qualcuno che fa di tutto per infastidire o che continua imperterrito a parlare di un argomento poco gradito.
Troviamo la parola Taluorno anche nei versi della celebre Funiculì funiculà la canzone napoletana scritta nel 1880 dal giornalista Giuseppe Turco e musicata da Luigi Denza, il cio testo fu ispirato dall’inaugurazione della prima funicolare del Vesuvio, costruita nel 1879, per raggiungere la cima del Vesuvio.
“…Se n’è sagliuta, oje né, se n’è sagliuta,
la capa già! (La capa già!)
È gghiuta, po’ è turnata, po’ è venuta,
sta sempe ccà! (Sta sempe ccà!)
La capa vota, vota, attuorno, attuorno,
attuorno a tte! Attuorno a tte!
Stu core canta sempe ‘stu taluorno:
Spusamme, oje né! Spusamme, oje né! …”